Violenza sessuale
Violenza sessuale in casa
Violenza sessuale in casa: rapporti sessuali imposti a forza a coniuge o convivente configurano il reato di violenza sessuale.
CODICE PENALE
Art. 609 bis
Violenza sessuale
Chiunque, con violenza o minaccia o mediante abuso di autorità, costringe a compiere o subire atti sessuali è punito con la reclusione da cinque a dieci anni.
Alla stessa pena soggiace chi induce taluno a compiere o subire atti sessuali:
1) abusando delle condizioni di inferiorità fisica o psichica della persona offesa al momento del fatto;
2) traendo in inganno la persona offesa per essersi il colpevole sostituito ad altra persona.
Nei casi di minore gravità la pena è diminuita in misura non eccedente i due terzi.
SEZIONE III PENALE
Sentenza 15 luglio – 1° agosto 2011, n. 30364 [ Violenza sessuale ]
La Corte di Appello di Catania, con sentenza emessa l’ 8/10/08, in riforma della sentenza del Gup del Tribunale di Caltagirone in data 15/11/07 – appellata da C.M., imputato dei reati di cui agli artt. 572 c.p., 609 bis c.p., 610 c.p. e condannato alla pena di anni nove di reclusione – assolveva il C. dal reato, ex art. 609 bis c.p. [ Violenza sessuale ] perché il fatto non sussiste; rideterminava la pena, quanto ai residui reati, in anni due, mesi uno di reclusione; confermava nel resto.
Il PG della Corte di Appello di Catania proponeva ricorso per Cassazione, deducendo violazione di legge e vizio di motivazione dell’ art. 606, lett. b) ed e) c.p.p.
In particolare il PG ricorrente esponeva che i rapporti sessuali tra i due coniugi non erano consensuali, ma imposti coattivamente dall’imputato C.M. nei confronti della moglie G.L. [ Violenza sessuale ]
Tanto dedotto, il P.G. ricorrente chiedeva l’ annullamento della sentenza impugnata.
Il P.G. della Cassazione, nella pubblica udienza del 15/07/2011, ha chiesto l’ annullamento con rinvio della sentenza impugnata limitatamente al capo B) della rubrica.
Motivi della decisione
Il ricorso è fondato.
C.M., all’ esito del giudizio di primo grado, veniva riconosciuto colpevole dei reati di cui agli artt. 572, 610 c.p., nonché di quello di cui all’art. 609 bis c.p. in danno della moglie G.L. per averle imposto coattivamente rapporti sessuali, contro la volontà della donna. [ Violenza sessuale ]
La Corte di Appello di Catania, con sentenza in data 08/10/08, assolveva C.M. dal reato di cui all’ art. 609 bis c.p. [ Violenza sessuale ], perché il fatto non sussiste.
La Corte Territoriale argomentava sul punto, asserendo che – pur essendo la donna contraria ai rapporti sessuali, perché l’ uomo era solito consumarli al rientro dalla propria attività di pastore, senza praticare alcuna igiene e pulizia del proprio corpo – finiva per poi accettare volontariamente i rapporti sessuali.
Trattasi di motivazione carente ed insufficiente, posto che la donna – come evidenziato con motivazione coerente e puntuale del giudice di primo grado – non accettava volontariamente i rapporti sessuali, ma li subiva coattivamente.
L’uomo, invero – dopo aver immobilizzato con le mani la moglie – le imponeva i rapporti sessuali, senza aderire affatto alle richieste del coniuge di effettuare la necessaria igiene del proprio corpo. Orbene la Corte Territoriale, sul punto de quo, non ha precisato in modo univoco le ragioni per cui i rapporti sessuali imposti coattivamente alla donna dovevano ritenersi comunque consumati consensualmente. Invero la peculiarità dei motivi del dissenso non eliminava il dissenso medesimo, per cui i rapporti sessuali, laddove imposti con la forza dall’uomo, erano e restavano violenti. [ Violenza sessuale coniugale ]
Va annullata, pertanto, la sentenza della Corte di Appello di Catania in data 08/10/08, con rinvio a detta Corte Territoriale, altra sezione, per nuovo esame in relazione al reato di cui all’ art. 609 bis c.p. [ Violenza sessuale ]
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SUPREMA CORTE DI CASSAZIONE
SEZIONE IV PENALE
Sentenza 5 ottobre 2011, n. 36073 [ Violenza sessuale ]
1. [ Violenza sessuale ] La Corte di appello di Milano ha confermato la sentenza del Tribunale di Monza con la quale Ca. Lu. è stato ritenuto responsabile del delitto continuato di cui all’ articolo 609 bis cod. pen. [ Violenza sessuale ], commesso in danno della convivente Du. Ve. per averla in più occasioni, costretta ad avere rapporti anali ed orali contro la sua volontà. All’ imputato è stata infitta la pena di quattro anni di reclusione e la condanna al risarcimento dei danni nei confronti della Du., costituita parte civile, nella misura di 25.000 euro. Ca. è stato invece assolto dal delitto di maltrattamenti originariamente contestato.
La Corte milanese è intervenuta a seguito di annullamento con rinvio da parte della terza sezione penale di questa Corte di precedente sentenza, dello stesso tenore, nella quale era stata riscontrata una non adeguata motivazione su una serie di circostanze legate a supposte contraddizioni nella deposizione della parte lesa, in particolare con riferimento ai punti c), d), f), g), h), i), ed m) dei motivi di ricorso, nonché la omessa motivazione sulla assoluzione dal reato di maltrattamenti e la errata motivazione quanto alla omessa considerazione dell’ avvenuto risarcimento dei danni ai fini della quantificazione della pena in sede di continuazione.
La Corte milanese ha preso in esame tutti questi punti, ha ritenuto attendibile la Du., priva di contraddizioni e sufficientemente precisa la sua testimonianza, ed è pervenuta alla resa decisione.
2. [ Violenza sessuale ] Avverso tale sentenza ha presentato ricorso per cassazione il difensore dell’ imputato. Lamenta, con un primo motivo, che il giudice di rinvio, nonostante abbia dichiarato di volersi adeguare a quanto richiesto dalla sentenza di annullamento di questa Corte, non ha in realtà preso in esame – come dalla stessa prescritto – le eccepite discrasie in modo da supportare con riferimento a ciascuna di esse le specifiche ragioni poste a base della colpevolezza o quelle contrarie; esso si sarebbe limitato a confermare la piena attendibilità della parte lesa sulla base della sua piena capacità di distinguere tra rapporti ortodossi ed eterodossi e rapporti acconsentiti di controvoglia e episodi di vera e propria violenza, senza esaminare neppure uno dei punti specifici evidenziati; dunque l’ intera argomentazione che vizia la prima pagina risulta viziata.
Con il secondo motivo, attinente ai punti c) e d), il ricorrente rileva che la Corte di appello “con la seconda pagina della motivazione intende confortare quanto ha sostenuto nella prima facciata, in tema di inattendibilità della persona offesa attraverso una rilettura della sua deposizione”, prendendo in esame solo alcuni brani isolati della deposizione della persona offesa e dandone una lettura che si presta a censure di logicità; in particolare non si tiene conto che la Du. aveva risposto a specifiche domande sull’ epoca in cui aveva avuto rapporti consenzienti e normali con il Ca. che indicavano tale periodo dal 3 settembre al 24 ottobre, dato rispetto al quale vi sarebbe stata una “aggressione alle risultanze processuali”; non si è spiegato perche’ in questo contesto di rapporti consentiti fosse possibile collocare episodi di violenza, specie tenuto conto che la donna aveva anche affermato di essere stata disponibile ad intrattenere rapporti non ortodossi, “qualche sera, per farlo contento”; i due episodi descritti a pag. 2 della sentenza non indicherebbe alcuna violenza, uno di essi in particolare risultando sostenuto dal desiderio di non svegliare il bambino.
Con il terzo motivo si censura la motivazione fornita, relativamente al punto e), che non avrebbe tenuto conto che si era eccepito che si trattava di un solo episodio e di una spinta, non di un calcio.
Con il quarto motivo si censura la motivazione fornita relativamente al punto f) attinente il numero degli episodi di violenza, dalla donna indicati in numero di “due, quattro, sei”, il che dimostra una incertezza inconciliabile con la ritenuta precisione e linearità nel riferire gli episodi avvenuti con violenza e quelli per semplice controvoglia.
Il quinto motivo si riferisce al punto g) relativo alla censura secondo cui la Du. si adeguava criticamente a qualsiasi risposta del pm.
Con il sesto motivo si censura la mancanza di motivazione relativamente ai punti h) ed i).
Con il settimo motivo si censura la motivazione resa dalla Corte relativamente al punto m) con il quale si era sostenuto la possibile presenza di elementi di astio o di vendetta della donna nei confronti del Ca. , avendo la Du. riferito di violenze e minacce da parte del marito ulteriori rispetto a quelle sessuali.
Con l’ottavo motivo, inerente il punto q), ci si duole che non si sia tenuto conto dell’ avvenuto, parziale, risarcimento dei danni ai fini della quantificazione della pena in sede di continuazione che avrebbe dovuto influire sulla determinazione della pena almeno ai sensi dell’ articolo 133 cod. pen.
Con motivi aggiunti viene ulteriormente dedotto il difetto di motivazione in ordine ai punti h) ed i), attinenti la illogicità derivante dal fatto che le discrasie nel racconto della Du. erano state collegate alla distanza dai fatti e alla sua scarsa conoscenza della lingua italiana, senza tenere conto che la testimonianza è stata resa a soli otto mesi di distanza dai fatti e che la donna viveva in Italia e si esprimeva nella lingua italiana correttamente e con ricercatezza, punti ignorati dal giudice di rinvio.
Ci si duole inoltre del mancato accoglimento del motivo attinente il contenimento nel minimo dell’ aumento di pena per la continuazione anche alla luce della circostanza del parziale risarcimento del danno che, essendo avvenuto dopo la presentazione dell’ appello, non poteva logicamente essere dedotto nei motivi, ma del quale si sarebbe dovuto tenere conto.
Con una ulteriore memoria si contesta la attendibilità della persona offesa rappresentando che il Ca. è stato assolto con formula piena dai reati di violazione degli obblighi di assistenza familiare e di maltrattamenti in famiglia per i quali la donna aveva presentato ripetutamente querela.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. [ Violenza sessuale ] Il ricorso non merita accoglimento risultando infondati o manifestamente infondati i motivi proposti. Occorre in primo luogo ricordare che, secondo la pacifica giurisprudenza di questa Corte (sez. 4 sentenza n. 48352 del 29.4.2009 Rv. 245775) l’ obbligo del giudice del rinvio di attenersi alle direttive impartite dalla Corte di cassazione riguarda esclusivamente il principio di diritto specificamente enunciato, con la conseguenza che quando la Corte, in caso di annullamento per vizio di motivazione, non enunci alcun principio, gli è vietato semplicemente di ripetere i vizi già censurati e di fondare la decisione sulle argomentazioni già ritenute incomplete o illogiche.Infatti il principio di diritto affermato nella sentenza della Corte di cassazione, in quanto immodificabile da parte del giudice e sottratto ad ulteriori mezzi di impugnazione, acquista autorità di giudicato interno per il caso di specie (cfr., ex plurimis, Cass., Sez. 3, 29 ottobre 1998, Schiavone, m. 212423). Un simile effetto vincolante, però, scaturisce soltanto dal “principio di diritto” che, non a caso, a norma dell’ articolo 173 disp. att. cod. proc. pen., comma 2, deve essere specificamente enunciato nella sentenza di annullamento con rinvio, e non da qualsiasi affermazione esplicativa della “ratio decidendi” o, meno ancora, da singoli sviluppi argomentativi che si limitino a scandagliare i vizi del provvedimento annullato ma non forniscano, in sé, le indicazioni riparatorie in punto di legittimità.
Ciò premesso, si rileva che nella sentenza di annullamento della terza sezione di questa Corte non viene enunciato alcun principio di diritto, come tale vincolante, essendosi la Corte limitata a riportare le censure formulate dalla difesa dell’ imputato circa l’ attendibilità della parte offesa e a riscontrare, peraltro assai laconicamente, una insufficiente considerazione delle discrasie che erano state evidenziate nella deposizione della medesima, sollecitando l’ esame di ciascuna di esse. A tale obbligo non si è sottratto il giudice di rinvio, che, al fine di adempiere all’obbligo di motivazione, ha riesaminato l’ intera vicenda e ha preso in esame i singoli punti segnalati.
La Corte milanese ha richiamato la sentenza di primo grado che chiariva i termini dell’ imputazione relativa a soli quattro episodi di violenza anale od orale, da inserirsi in un quadro di più ampi rapporti tra l’imputato e la persona offesa, conviventi da molti anni e con un figlio piccolo, ma i cui rapporti erano da ultimo entrati in crisi tanto da indurre la donna a esprimere un fermo dissenso ad accondiscendere a rapporti sessuali di tipo anale od orale, come quelli che sono stati accertati essere intervenuti in 4 occasioni, in cui l’ uomo si è avvalso della propria forza fisica per ottenere dalla donna la sottomissione. [ Violenza sessuale ]
Ha poi ribadito il giudizio di attendibilità della persona offesa, riportando anche brani delle dichiarazioni della donna, non senza la precisazione che le stesse dovevano comunque inquadrarsi nel contesto complessivo. La Corte ha fondatamente e logicamente potuto affermare l’ assenza di discrasie e l’ attendibilità della Du. , rilevando che la stessa era stata pienamente capace di distinguere tra rapporti consentiti e non consentiti e tra rapporti normali, nel senso di vaginali (rispetto ai quali non era stata dedotta violenza ma soltanto una accettazione controvoglia), e rapporti anali od orali, che la Du. aveva invece dichiarato di essere stata costretta a subire contro la sua manifestata volontà e con la forza, in almeno 4 occasioni. [ Violenza sessuale ]
L’ attendibilità è stata congruamente motivata dai giudici di merito sulla base della linearità e coerenza del racconto, avendo la donna dato atto senza reticenza della lunga relazione intrattenuta con l’ uomo e chiarito come il proprio atteggiamento di disponibilità si fosse modificato dopo che era venuto meno l’ originario innamoramento, che la aveva indotta ad accettare anche pratiche sessuali non del tutto gradite, fino a pervenire ad un vero e proprio dissenso che l’ imputato aveva evidentemente ritenuto di poter superare forzando la donna; e della sofferenza della donna aveva reso testimonianza la vicina di casa con cui la Du. si era confidata. [ Violenza sessuale ]
Tanto premesso, in generale, per quanto attiene la ricostruzione della vicenda, necessaria per valutare i motivi di ricorso, possono esaminarsi le singole censure mosse che si rivelano inconsistenti già nella misura in cui esse vengono formulate con pedissequo e angusto riferimento alle pagine della sentenza impugnata, con un esame autonomo dei vari brani che in essa si susseguono senza tener conto del complessivo sviluppo del ragionamento che, pur incentrandosi sui vari punti oggetto della sentenza di annullamento, costituisce comunque un tutt’ uno e va considerato nel suo senso complessivo e non già, come sembra fare il ricorrente, come una mera successione di valutazioni attinenti fatti e circostanze del tutto indipendenti una dall’ altra. [ Violenza sessuale ]
Il primo motivo risulta dunque infondato, ai limiti della inammissibilità, perché fornisce una diversa ricostruzione delle vicende rilevanti ai fini del processo sulla base di osservazioni che non tengono conto della motivazione resa dalla Corte di appello; è sufficiente al riguardo osservare che la Corte di appello, nel riferire i punti salienti della testimonianza della Du. , consente perfettamente di seguirne un filo logico di coerenza e chiarisce che la risposta positiva della donna circa la frequenza giornaliera dei rapporti e la sua disponibilità a rapporti anche non “normali” si riferiva all’ epoca, precedente a quella di cui al presente procedimento che inizia dal 3 settembre, in cui ella era innamorata dell’ imputato e quindi disponibile ad accettare anche pratiche a lei non gradite. [ Violenza sessuale ]
Analogamente va detto per il secondo motivo di ricorso, con il quale lo stesso ricorrente riconosce che il giudice di rinvio intende confortare la attendibilità della donna attraverso una rilettura della sua deposizione; lo stesso ricorrente smentisce dunque con il secondo motivo quanto affermato nel primo, riconoscendo che la Corte milanese ha svolto delle argomentazioni sulla attendibilità della donna e sulla assenza di contraddizioni nella sua deposizione, che era proprio quanto le era stato richiesto di fare. [ Violenza sessuale ]
In ordine al terzo motivo può rilevarsi che gli episodi di violenza, in numero di quattro, sono puntualmente indicati nella integrativa sentenza di primo grado, e che la precisazione che in una di queste occasioni la violenza si è estrinsecata in una spinta, e non in un calcio, non modifica il quadro complessivo. [ Violenza sessuale ]
Il quarto motivo è ancora una volta inammissibile perché nell’ appuntarsi su un singolo momento e su una singola circostanza della deposizione della donna, isolatamente considerata, il ricorrente non tiene conto della complessiva motivazione con cui si è chiarito che gli episodi contestati sono quattro. [ Violenza sessuale ]
Il quinto motivo eccepisce un difetto di motivazione circa il punto g), relativo alla censura secondo cui la Du. si adeguava criticamente a qualsiasi risposta del pm, senza tenere conto che la corte milanese esclude che dalla lettura integrale della deposizione della donna risulti una simile situazione.
Con il sesto motivo, ripreso nei motivi aggiunti, si censura la mancanza di motivazione relativamente ai punti h) ed i), con cui si era contestato che le discrasie della deposizione non potevano essere giustificate con la scarsa conoscenza della lingua italiana o con la distanza dai fatti; la censura risulta infondata in quanto tali punti, sia pure non espressamente menzionati dalla Corte a differenza degli altri, sono stati oggetto di valutazione avendo la Corte escluso la sussistenza di discrasie nella testimonianza della donna ed avendo rilevato che la stessa aveva chiaramente indicato, a volte anche con linguaggio crudo, i particolari della vicenda. [ Violenza sessuale ]
Con il settimo motivo si censura la motivazione resa dalla Corte relativamente al punto m) con il quale si era sostenuto la possibile presenza di elementi di astio o di vendetta della donna nei confronti del convivente, avendo la medesima riferito di violenze e minacce da parte del marito, ulteriori rispetto a quelle sessuali; ed il motivo risulta ripreso nella memoria laddove si sottolinea come la Du. abbia presentato varie querele nei confronti del Ca. che è stato però sempre assolto. Al riguardo può osservarsi che non appare illogica la valutazione compiuta dalla Corte di appello secondo cui poteva darsi per scontato che la donna avesse motivi di astio nei confronti dell’ imputato, ma che tale astio era originato dai fatti di causa e non da motivi ulteriori e dunque non poteva influire sulla attendibilità. Dovendosi soltanto aggiungere che non possono in questa sede essere presi in considerazione fatti sopravvenuti (rappresentati dalle sentenze prodotte dalla difesa), non essendo questa Corte giudice del fatto. [ Violenza sessuale ]
Da ultimo, circa il parziale risarcimento dei danni di cui, secondo il ricorrente, avrebbe dovuto tenersi conto ai fini della quantificazione della pena in sede di continuazione, la Corte di rinvio ha ritenuto di non poter accogliere tale richiesta mettendo in luce che la pena era stata già determinata nel minimo edittale con la massima riduzione possibile per le attenuanti generiche e con aumento assai contenuto per la ritenuta continuazione, valutazione che, in quanto debitamente motivata, è incensurabile.
2. Conclusivamente il ricorso deve essere rigettato con condanna del ricorrente al pagamento delle spese del procedimento nonché alla refusione delle spese sostenute dalla parte civile in questo giudizio che si liquidano in euro 1500,00 complessivi oltre accessori come per legge.
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Non costituisce attenuante alla violenza sessuale l’ abbigliamento sexy della ragazza od un suo consenso iniziale all’ amplesso, poi negato.
SUPREMA CORTE DI CASSAZIONE
SEZIONE III PENALE
Sentenza 9 giugno – 9 settembre 2009, n. 34870 [ Violenza sessuale ]
1. Provvedimento impugnato e motivi del ricorso
La sentenza impugnata ha confermato la decisione del Tribunale di Firenze di condannare l’ odierno ricorrente per il reato di violenza sessuale (art. 609 bis c.p.) che sarebbe da lui stato commesso nei confronti della ex fidanzata O.M.
Secondo l’ accusa, l’ uomo era passato a trovarla a casa con una scusa; avevano chiacchierato e l’uomo aveva chiesto e mangiato della frutta, poi le aveva chiesto di far salire un amico che aspettava in macchina. La ragazza aveva rifiutato obiettando che l’ abbigliamento che indossava al momento non era consono (un top ed una minigonna) ma, a quel punto, l’ imputato aveva preso a fare apprezzamenti su di lei, a toccarla ed a chiederle di avere un rapporto. A fronte del diniego della donna, “l’ aveva trascinata in camera da letto, – scacciando con una pedata il cane, un innocuo cucciolone di sei mesi – l’ aveva gettata sul letto e, sovrastandola con il proprio corpo, costretta a subire un rapporto sessuale, malgrado la ragazza avesse pianto, si fosse divincolata e l’ avesse implorato di smettere”. [ Violenza sessuale ]
Secondo la querela in seguito sporta, dopo che l’ uomo aveva lasciato l’ appartamento, la ragazza si era asciugata con un asciugamano, poi consegnato agli inquirenti, sul quale furono trovate tracce di liquido seminale. Il giorno successivo ai fatti, la querelante si era confidata con il proprio fidanzato dell’ epoca, insieme al quale si era recata a casa dell’ imputato per una spiegazione. Non lo avevano trovato ma, incontrati colà i genitori di F.S. – all’ epoca la compagna dell’ imputato – tutti insieme erano andati a denunciare il fatto dai Carabinieri. [ Violenza sessuale ]
L’ imputato, dopo aver negato in un primo tempo ogni cosa in sede di s.i.t. dai CC, aveva poi ammesso l’ accaduto, sostenendo di essere stato invitato dalla donna che lo aveva cercato accennandogli di essere in crisi con il proprio ragazzo e che quando lui era andato a trovarla vi era stato un rapporto del tutto consenziente.
Avverso tale decisione, hanno proposto ricorso l’ imputato ed il suo difensore deducendo:
1) violazione di legge penale e processuale in quanto: a) erroneamente – con riferimento all’ art. 192 c.p.p. – è stata ritenuta attendibile la persona offesa e fondandosi l’ accusa solo sulle sue parole ed in assenza di qualsivoglia riscontro esterno (es. certificati attestanti lesioni); b) si asserisce tautologicamente che la p.o. non avrebbe avuto alcun motivo per calunniare; c) non sono state valutate le peculiarità del reato e la decisione è stata fondata su quanto “unilateralmente appreso”; non sono stati considerati adeguatamente riscontri oggettivi come l’ assenza di lesioni (non confermate nella visita) censurando il fatto che la Corte abbia definito questo dato “neutro”;
2) mancata assunzione di una prova decisiva come i tabulati telefonici dai quali dimostrare chi avesse “promosso” l’ incontro;
3) mancanza o manifesta illogicità della motivazione perchè i giudici di merito, pur avendo ritenuto di dover interpretare i presenti fatti alla luce delle dinamiche interpersonali tipiche dei “giovani moderni” “soliti ad avere relazioni sentimentali con rapporti sessuali, allacciate e sciolte senza dare troppa importanza a ciò”, hanno poi emesso sentenza di condanna. [ Violenza sessuale ]
Il ricorrente conclude invocando l’annullamento della sentenza impugnata.
Motivi della decisione
2. Il ricorso è infondato e deve essere respinto.
Al di là della denominazione formale data al vizio denunciato dal ricorrente nel primo motivo, deve rilevarsi che, nei contenuti, si mira a chiedere al giudice di legittimità una rilettura degli atti probatori per pervenire ad una diversa interpretazione degli stessi più favorevole alla tesi del ricorrente, la qual cosa equivale ad una censura in punto di fatto e non inerente ad errori di diritto o vizi logici della decisione impugnata.
Ed infatti, l’ error in procedendo – tale è nominalmente il motivo dedotto – ricorre per far valere un vizio procedimentale che dia luogo, ad esempio, ad una inutilizzabilità, alla violazione di una regola nell’ ammissione o nell’assunzione di una prova o persino ad un travisamento della prova (avere il giudice di merito fondato la decisione su una prova inesistente).
Al contrario, qui il ricorrente punta a mettere in discussione il tipo di lettura che i giudici di merito hanno dato degli atti e cioè, detto in altri termini, a porre in discussione l’affermazione di attendibilità della persona offesa e la valutazione delle risultanze processuali.
Ciò, però, non attiene al rispetto delle regole di assunzione della prova bensì alla loro valutazione, che è cosa diversa e va inquadrata nel controllo della motivazione cui è tenuto il giudice di legittimità.
In tale ottica, però, valgono i principi più volte affermati da questa S.C. in base ai quali la censura di diritto può riguardare soltanto la logica della chiave interpretativa; se, quindi, nella decisione impugnata, ricorrono termini o argomenti che trovano una spiegazione coerente con il contesto ipotizzato, se le ragioni sono sostenute da elementi di fatto acquisiti in atti e se, in sostanza, il giudice del merito ha “fotografato” correttamente la realtà sulla scorta di quanto accertato, la verifica del provvedimento gravato si deve intendere esaurita positivamente non potendo estendersi ad una valutazione della prova “al punto da optare per la soluzione che si ritiene più adeguata alla ricostruzione dei fatti, valutando, ad esempio, l’ attendibilità dei testi o le conclusioni di periti o consulenti tecnici (sez. 4^, 17.9.04 n., cricchi, rv. 229690). [ Violenza sessuale ]
Trasferendo tali principi nel caso in esame, deve osservarsi che nessuna delle critiche che il ricorrente muove – nel primo e nel terzo motivo – al ragionamento motivazionale della Corte è fondato.
In primo luogo, va smentita con fermezza l’asserzione del ricorrente secondo cui la decisione sarebbe stata adottata solo “su quanto unilateralmente appreso”.
Invero, la decisione in esame si segnala, in primo luogo, per la completa e puntuale ricostruzione del susseguirsi degli eventi e, quindi, per una scrupolosa disamina delle emergenze processuali.
Tra queste, è indubbio che le parole della querelante costituiscano la “base” della decisione; tuttavia esse non sono state affatto recepite acriticamente ma, al contrario, sono state vagliate in dettaglio, valutate sia sotto il profilo della loro attendibilità intrinseca sia nell’ ottica delle dichiarazioni difensive dell’ imputato e delle deposizioni di soggetti diversi ( F. S., F.S., B.A. e la CT psicologa). [ Violenza sessuale ]
Si è trattato di una verifica oggettiva dei fatti quali emergono, da un lato, dalle parole della querelante e, dall’ altro, da quelle delle persone diversamente coinvolte ed anche da una verifica logica.
Di qui, l’ attenta disamina circa l’ esistenza di possibili ragioni di astio – ipotizzate dalla difesa dell’ imputato – che avessero potuto portare la querelante a calunniare l’ imputato. La ricerca è stata scrupolosa (ff. 5 e 6) ed è stata svolta argomentando con lucidità e coerenza attraverso dati fattuali desunti dal comportamento tenuto dalla querelante dopo la violenza sessuale denunciata (come riferiti da un’ amica) ed attraverso considerazioni consequenziali quali, ad esempio il rilievo che non ha senso sostenere che la ragazza avesse accusato falsamente l’imputato per aver dovuto sostenere un rapporto “non protetto” dal momento che, se fosse vera la tesi dell’ imputato secondo cui il congresso carnale sarebbe stato consenziente (anzi, addirittura stimolato da una telefonata-invito della ragazza), “ella avrebbe avuto agio di chiedere al partner di usare il condom, ovvero si sarebbe premunita per evitare il rischio di gravidanza (assumendo la pillola ad hoc) e dunque non avrebbe avuto motivo di avere rancore alcuno nei confronti del partner” (f. 6).
Sempre per citare a titolo esemplificativo uno dei tanti giusti argomenti svolti nella sentenza per giustificare la credibilità annessa alla p.o., merita di essere evocato quello censurato dal ricorrente (nel terzo motivo) come espressione di contraddittorietà della sentenza.
L’ affermazione secondo cui “i giovani moderni” … “sono soliti ad avere relazioni sentimentali con rapporti sessuali, allacciate e sciolte senza dare troppa importanza a ciò” va letta, innanzitutto, nel contesto in cui viene formulata e, cioè, per dare il giusto “peso” all’ ipotesi di una gelosia del compagno della querelante (altra astratta causa, per la stessa, di mentire onde “giustificare” un rapporto consenziente con il S.). In secondo luogo, va rilevato che l’ osservazione – che rispecchia correttamente un comune modo di sentire attuale delle fasce giovanili – non legittima in ogni caso censure di contraddittorietà perchè la disinvoltura nell’ intrecciare rapporti sessuali da parte di ambo i sessi non deve mai far perdere di vista la necessità che ciò avvenga consensualmente, sì da non risolversi in un sopruso di una parte sull’ altra. [ Violenza sessuale ]
La sentenza in esame, da qualunque profilo la si voglia esaminare, è ineccepibile.
Da correttamente conto anche delle leggere discordanze nel racconto della vittima ma, giustamente, le supera evidenziando che si tratta di “punti secondari” (f. 6) come ad esempio – aveva citato l’ appellante (f. 4) – la descrizione di abiti che indossava al momento del fatto. Agevole dare ragione ai giudici di merito sia perchè, effettivamente, è del tutto insignificante l’abbigliamento della ragazza (dovendosi ritenere ormai pacifica la libertà per ognuno di indossare ciò che si vuole e dovendosi escludere che un abbigliamento potenzialmente seduttivo della donna “giustifichi” in alcun modo un abuso sessuale) sia perchè, opportunamente, la Corte valorizza il fatto che la parte lesa “ha sempre mantenuto costante e fermo il punto focale della sua accusa, id est, l’ essere stata costretta ad un coito da lei non consentito” (f. 6). [ Violenza sessuale ]
Un ulteriore punto che merita risposta alle deduzioni del ricorrente afferisce il fatto che la Corte abbia definito “neutro” il dato dell’assenza di lesioni.
E’ chiaro che anche questa affermazione va contestualizzata: nel momento in cui la Corte dopo ampio ragionamento – nel corso del quale mostra di tenere in debito conto anche le ragioni dell’imputato al punto da vagliare scrupolosamente l’ accusa proprio nell’ottica di una potenziale validità della tesi della calunnia – e, quindi, considerate anche tutte le altre emergenze (testimonianze e ct.), perviene al convincimento della credibilità della querelante, ovvia è la conclusione che sia ininfluente la circostanza che, a seguito di visita medica, sulla vittima non siano state riscontrate lesioni nè generiche nè specifiche.
Le prime non avrebbero avuto ragion d’ essere perchè nello stesso racconto della vittima non risulta essere stata espletata una costrizione fisica tale da giustificare tracce (quali graffi, ematomi o simili); ella infatti ha riferito di essere stata “trascinata in camera da letto” dove è stata “sovrastata dal peso e dalla forza dell’uomo” rispetto al quale la sua difesa si era risolta nel piangere, scalciare e divincolarsi. [ Violenza sessuale ]
Non va poi giustamente dimenticato che la vittima non era alla prima esperienza sessuale (aveva avuto una relazione con lo stesso imputato e ne aveva una in atto con B. all’ epoca del fatto) corretta quindi è la considerazione della Corte che la visita ginecologica ha evidenziato uno status quo “compatibile, sia, con un rapporto consenziente, sia con un coito avente le modalità riferite dall’ interessata”. [ Violenza sessuale ]
Per altro verso, non deve tralasciarsi neanche di osservare che esiste una consulenza tecnica psicologica che assevera il fatto che è incontestato che la ragazza “oltre ad essere stata sottoposta ad un trattamento psicoterapeutico dalla psicologa S., è stata seguita da uno psichiatra (dott. P.) dal **** per uno stato ansioso, con spunti depressivi, riferito come reattivo alla violenza sessuale subita”.
La inevitabile conclusione della piena correttezza della motivazione della decisione impugnata, cui le considerazioni che precedono conducono, è supportata infine dal rilievo che neanche il secondo motivo di ricorso può trovare accoglimento. La asserita “decisività” della prova invocata risente infatti dello stesso pregiudizio con cui il ricorrente ha cercato di valorizzare l’ abbigliamento (verosimilmente succinto) della vittima quasi che esso potesse costituire una causa di giustificazione del gesto violento posto in essere dall’ imputato. Analogamente, è tanto poco decisivo stabilire chi abbia telefonato per primo tra l’ imputato e la vittima e chi abbia sollecitato l’ incontro che, anche ammesso che fosse stata la ragazza a fare la telefonata, ciò non avrebbe in alcun modo autorizzato l’ imputato ad una iniziativa di tipo sessuale poi chiaramente non voluta dalla querelante (trascinata in camera da letto, spogliata con violenza e sovrastata con il corpo dell’ imputato). Questa S.C. ha ripetutamente affermato, infatti, (Sez. 3^ 21.9.07, Ortiz Mejia, Rv. 237930; Sez. 3^ 24.2.04, Guzzardi, Rv. 228687) che il consenso agli atti sessuali deve perdurare nel corso dell’ intero rapporto senza soluzione di continuità, con la conseguenza che integra il reato di cui all’art. 609 bis la prosecuzione di un rapporto nel caso in cui il consenso, originariamente prestato, venga meno “in itinere” a seguito di un ripensamento o della non condivisione delle forme o modalità di consumazione dell’ amplesso. Di ciò deve assolutamente tener conto l’ altro soggetto, non potendo invocare a propria discolpa un consenso iniziale.
Qui, poi, non si discute neanche di consenso iniziale al rapporto ma solo di una telefonata, eventualmente fatta dalla ragazza verso l’ imputato. Premesso che i tabulati potrebbero, semmai solo provare ciò e non anche il suo contenuto, nuovamente deve dirsi che, anche ipotizzando che nel corso di tale conversazione la querelante avesse lasciato intendere al S. una propria “disponibilità”, di certo essa non persisteva più nel momento in cui l’ uomo presentatosi a casa ha fatto le proprie avances.
Tanto basta ed avanza per legittimare l’ esclusione di ogni “decisività” nella prova (acquisizione dei tabulati telefonici) invocata dal ricorrente.
Nel respingere il ricorso, segue, per legge, la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali nonchè alla rifusione delle spese della parte civile che liquida in Euro 3.000,00 oltre spese generali ed accessori di legge.
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