Separazione giudiziale
Prove per la separazione giudiziale
1 A.G.M., in data 13 aprile 1999 depositò presso il tribunale di Palermo ricorso per separazione giudiziale, chiedendo che la separazione fosse addebitata alla moglie, V.G. – con la quale aveva contratto matrimonio dal quale erano nati due figli, per avere essa, in data 23 marzo 1999, abbandonato il domicilio coniugale. In data 29 aprile 1999 la V. depositò a sua volta ricorso per separazione giudiziale, senza chiedere alcuna pronuncia di addebito a carico del marito.
Successivamente la V. abbandonò tale ricorso e, costituendosi nel giudizio promosso dal marito, chiese che la separazione giudiziale fosse pronunciata con addebito all’ A. Il tribunale di Palermo, con sentenza 1 febbraio 2002, pronunciò la separazione giudiziale con addebito a carico dell’ A., il quale propose appello sul punto.
Nel contraddittorio con la V. la Corte di appello di Palermo rigettava il gravame con sentenza depositata il 10 novembre 2003, notificata il 13 febbraio 2003. Avverso la sentenza l’ A. ha proposto ricorso a questa Corte con atto notificato il 13 aprile 2004, formulando tre motivi. L’ A. resiste con controricorso notificato il 7 maggio 2004.
Motivi della decisione
1 [ separazione giudiziale ] Con il primo motivo si denuncia “violazione dell’art. 360 c.p.c., n. 5, per omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione circa un punto decisivo della controversia prospettato dalle parti in relazione agli artt. 112, 183 c.p.c., artt. 143 e 151 cod. civ.”. Si deduce al riguardo che la domanda di addebito formulata dalla V. costituisce domanda nuova rispetto a quella da lei originariamente formulata nel separato giudizio promosso in data 29 aprile 1999, nel quale non aveva formulato alcuna domanda di addebito, e che la motivazione della Corte di appello apparirebbe contraddittoria laddove non rileva la incompatibilità fra tale domanda e la domanda di addebito formulata nel giudizio promosso dal ricorrente, che doveva intendersi preclusa e rinunciata in conseguenza dell’autonoma proposizione della domanda di separazione senza addebito.
Il motivo è infondato.
La Corte di appello ha infatti esattamente affermato la ritualità della domanda di addebito a carico del marito formulata dalla V. con la comparsa di risposta nel giudizio di primo grado, non potendosi dare alcun rilievo alla circostanza che in un ricorso con il quale era stato da lei proposto separato giudizio, poi abbandonato, non avesse proposto domanda di addebito. La relativa decadenza, infatti, ha valenza unicamente processuale, ricollegandosi alle preclusioni nascenti dalla disciplina dettata dall’art. 183 c.p.c., ma non ha alcuna incidenza sostanziale, cosicché non impedisce la proposizione della domanda di addebito in un diverso processo.
2 [ separazione giudiziale ] Con il secondo motivo si denuncia la “violazione dell’art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5, per omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione circa un punto decisivo della controversia in relazione agli artt. 115, 116 c.p.c., art. 132 c.p.c., nn. 3 e 4, artt. 184, 184 bis, 345 c.p.c., artt. 2721 e segg., 2727 e 2730 cod. civ.”. Si deduce che i giudici di merito hanno ritenuto addebitabile la separazione unicamente al ricorrente, giustificando l’abbandono della casa coniugale da parte della moglie in quanto causato da un litigio, senza considerare che tale litigio era il culmine di una controversia preesistente fra i coniugi, a seguito della scoperta da parte del ricorrente di un telefonino, di diarii e poesie della moglie con pensieri rivolti ad altra persona non individuata (il cui testo si riporta nel motivo a dimostrazione della loro valenza quale prova di ragioni di addebito a carico della moglie e della loro incidenza determinante sull’ insorgere della crisi familiare). Con il motivo si lamenta altresì la mancata ammissione di una prova per testi (il cui articolato si riporta) circa la relazione della moglie con un uomo la cui identità sarebbe stata scoperta dal ricorrente solo dopo l’ ammissione delle prove in primo grado, con il quale la stessa si sarebbe recata in vari luoghi nel novembre del (OMISSIS). Si deduce che la prova doveva essere ammessa, in quanto si riferiva a circostanze nuove e la sua tardiva formulazione era dovuta all’occultamento dei fatti da parte della moglie, che li ammise peraltro nella comparsa conclusionale del 21 gennaio 2002 (doc. 22, pag. 7). Erroneamente, pertanto, la Corte di appello avrebbe ritenuto che la prova non poteva essere ammessa in primo grado per essere stata formulata oltre i termini di cui all’art. 184 c.p.c., quando le prove ammesse erano già in corso, non avendo il proponente dimostrato di essere incorso nella suddetta decadenza per causa a lui non imputabile, tale non potendosi considerare il solo silenzio della moglie circa la sua pretesa relazione. Si deduce ancora che l’abbandono della casa coniugale non sarebbe stato affatto giustificato dal preteso tentativo di strangolamento da parte del marito, negato dal vicino di casa medico chiamato a testimoniare sul punto. Si deduce, infine, che la sentenza della Corte di appello sarebbe viziata per essersi la Corte limitata a ricalcare le motivazioni della sentenza di primo grado, senza tenere conto delle critiche formulate nei motivi di gravame, omettendo di tenere conto che le assenze del ricorrente, nei fine settimana, da casa, a lui addebitate come motivi di separazione, erano dovute alla necessità di accudire a interessi sia della suocera sia della propria madre, senza che la moglie vi si opponesse.
Riguardo ai vari profili del motivo deve esaminarsi innanzitutto quello attinente alla mancata ammissione della prova in relazione alla dedotta violazione degli artt. 184 e 184 bis c.p.c., nonchè art. 345 c.p.c..
E’ incontroverso che la prova fu richiesta dopo il decorso dei termini perentori stabiliti dall’art. 184 c.p.c., comma 2. Il ricorrente deduce, peraltro, l’applicabilità alla fattispecie della rimessione in termini ai sensi dell’art. 184 bis c.p.c., poiché il nome della persona con la quale la V. avrebbe avuto una relazione sarebbe stato scoperto solo dopo l’ammissione delle prove e lamenta che il tribunale e la Corte di appello non l’ abbiano ammessa.
Il profilo del motivo è peraltro inammissibile, avendo la Corte di appello ritenuto che esattamente il tribunale aveva rifiutato la rimessione, in quanto l’ appellante non aveva chiesto di provare – come in effetti richiede l’ art. 184 bis c.p.c. – di essere incorso nella decadenza per causa a lui non imputabile. Tale ratio decidendi della sentenza non è contestata con il motivo, limitandosi il ricorrente ad allegare di non avere conosciuto tempestivamente il nome dell’ uomo con il quale la moglie avrebbe avuto una relazione, ma non di avere dedotto sul punto una specifica prova, come richiedeva l’ art. 184 bis c.p.c.. Parimenti il ricorrente, nel dedurre la violazione dell’ art. 345 c.p.c., non allega alcuna specifica censura riguardo alla statuizione della Corte di appello secondo la quale “la prova, riformulata in appello, si rivela inammissibile perchè, come osservato con ordinanza di questa Corte del 10 gennaio 2003, l’ appellante risulta gravato della pronunciata decadenza e, comunque, a mente dell’ art. 345 c.p.c., non potendo essere ammesse in sede di gravame prove nuove“.
Quanto agli altri profili del motivo, essi sono parimenti inammissibili, formulandosi con essi, nella sostanza, censure estranee al giudizio di legittimità, relative alle valutazioni di merito con le quali la Corte di appello ha ritenuto che la documentazione addotta a sostegno della dedotta addebitabilità della separazione alla V. non fosse idonea a dimostrarla, mentre le prove testimoniali assunte dimostravano, in conformità di quanto affermato dal tribunale, la sussistenza di un comportamento del ricorrente tale da giustificare la pronuncia di addebito della separazione a suo carico.
3 [ separazione giudiziale ] Quanto al terzo motivo, con il quale si denuncia la violazione dell’ art. 91 c.p.c., in quanto l’ intimata avrebbe dovuto essere soccombente nei precedenti gradi di giudizio ed essere condannata alle spese di causa, il rigetto dei precedenti motivi ne implica come conseguenza il rigetto.
Rigettato il ricorso, il ricorrente va condannato alle spese del giudizio di cassazione.
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