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Riconciliazione dopo separazione: non sempre si annulla la separazione.

Riconciliazione dopo separazione

Riconciliazione dopo separazione: Sentenze della Corte di Cassazione

Riconciliazione dopo separazione: la prosecuzione dei rapporti sessuali e la nascita di un nuovo figlio non sempre comportano l’annullamento della separazione.

Sezione prima civile

Sentenza 16 ottobre 2003 n. 15481 [ Riconciliazione dopo separazione ]

Con atto notificato l’8 gennaio 2001, S.Y. proponeva ricorso contro la sentenza in epigrafe indicata, sostenendo che la stessa avrebbe dovuto essere annullata perché viziata da violazione e falsa applicazione di norme di diritto nonché da difetto di motivazione su punti decisivi della controversia. Il tribunale aveva sbagliato sia nel quantum che nel dies a quo degli assegni, compensando ingiustamente le spese di lite fra le parti.

L’A. resisteva con controricorso e la causa veniva decisa all’ esito della pubblica udienza del 14 aprile 2003.

Motivi della decisione

Dalle comuni ammissioni delle parti nonché dalla lettura della sentenza impugnata emerge in fatto che nel 1986, A. Luigi presentava ricorso per la separazione giudiziale dalla moglie S.Y., con la quale si era sposato circa sette anni prima in Polonia. Con sentenza del maggio 1990, il Tribunale di Bologna provvedeva in conformità, affidando al padre il figlio minore R. Nonostante tale statuizione, l’ A. lasciava il bambino con la madre continuando, però, a contribuire al suo mantenimento fino a che, nel febbraio la moglie non lo avvertiva di aspettare un altro figlio da lui. Alla notizia di tale gravidanza, intatti, l’ A. sospendeva ogni versamento e con ricorso depositato il 17 maggio 1993, chiedeva al Tribunale di voler pronunciare lo scioglimento del matrimonio a suo tempo contratto con la S., che con atto del 20 maggio, si rivolgeva a sua volta all’ Autorità giudiziaria per ottenere in via d’ urgenza l’ attribuzione di un assegno mensile di lire 2.500.000.

Con decreto in data 27 luglio 1993, il Presidente del Tribunale ordinava al marito di versare ogni mese l’ importo di lire 700.000 per il figlio R. e di lire 1.200.000 per la moglie che, dal canto proprio, procedeva alla proposizione ed alla iscrizione a ruolo della causa di merito.

Il Gi disponeva la riunione del relativo processo a quello di divorzio ed il 22 ottobre 1993 nasceva l’ altra figlia M.

Con ordinanza in data 17 maggio 1997, il Gi prendeva atto che alla fine del 1996 l’A. aveva riconosciuto anche la bambina e, per l’ effetto, gli imponeva di concorrere al suo mantenimento con un assegno mensile di lire 700.000.

Ultimata l’ istruttoria, le cause così riunite venivano rimesse al Collegio, che con sentenza del maggio 1999 pronunciava lo scioglimento del matrimonio ed affidava i figli alla madre, confermando sostanzialmente la misura del contributo già pagato dal padre per la prole e la ex moglie. Quest’ ultima interponeva appello, asserendo che vi era stata piena e totale riconciliazione. [ Riconciliazione dopo separazione ]

Con sentenza in data 24 ottobre 2000, la Corte di appello ricordava innanzitutto che l’ A. viveva, ormai, da molti anni da solo ed anche se di sera andava spesso a casa della S., lo faceva soltanto per stare vicino ai figli senza, però, cenare con loro ed aspettando per di più in un’ altra stanza. L’A., cioè, era pur sempre un “separato”, cui gli amici avevano creato attorno, proprio per la sua evidente solitudine, una rete di rapporti di tipo familiare sostitutivo.

Ed infatti, pur parlando assiduamente e con trasporto dei figli, non aveva mai nominato la moglie né aveva sentito il bisogno di avvertirla in occasione dei suoi due ricoveri in ospedale.

In un contesto del genere, lo stesso concepimento di M. non rappresentava affatto una circostanza decisiva, in quanto si era verificato in un’ atmosfera caratterizzata da disistima ed indifferenza affettiva e, cioè, al di fuori di qualsiasi disegno, anche eventuale, di ricostituzione della vita familiare. I testi indotti dall’ A. non avevano lasciato dubbi al riguardo, mentre quelli citati dalla S. si erano limitati a riferire dei giudizi soggettivi o delle circostanze che oltre ad essere state apprese dalla stessa interessata, risultavano comunque inidonee a dimostrare la ripresa del necessario consortium vitae che andava, anzi, senz’ altro esclusa anche alla luce della diversità della storia e della personalità dei coniugi, dei conflitti fra i medesimi scoppiati e dei tempi e delle modalità degli stessi incontri fra loro proseguiti.

Tenuto conto di quanto sopra, la Corte di appello confermava, pertanto, lo scioglimento del matrimonio con una decisione che la S. ha impugnato, denunciando con il primo motivo la violazione degli articoli 157 Cc e 3 della legge 898/70, in quanto una volta riconosciuto che l’ A. aveva continuato ad essere l’ amante della moglie per quasi 13 anni di fila, i giudici a quo avrebbero dovuto inevitabilmente concludere per l’ esistenza della dedotta riconciliazione. [ Riconciliazione dopo separazione ]

La censura è infondata perché come chiarito più volte da questa Suprema corte (v., fra le tante, Cassazione, 4748/99, 2217/00 e 3744/01 [ Riconciliazione dopo separazione ]), per aversi una vera e propria riconciliazione, non basta il ripristino od il mantenimento di frequenti rapporti, anche sessuali, ma occorre la restaurazione di un nucleo familiare che, nel caso di specie, è stata esclusa dalla Corte di appello con ampia ed articolata motivazione che non può essere sindacata in questa sede perché immune da vizi logici o giuridici. [ Riconciliazione dopo separazione ]

Con il secondo motivo di ricorso, la S. ha invece lamentato che i giudici a quo avevano confermato la decisione di prime cure anche per quanto riguardava la decorrenza dell’ assegno per il figlio R., che contrariamente a quanto stabilito, non avrebbe dovuto partire dal luglio 1993, ma dal precedente mese di febbraio in cui l’ A. aveva sospeso qualunque contributo per il ragazzo.

Tali essendo i termini della doglianza, conviene preliminarmente ricordare che l’ obbligo dei genitori di mantenere la prole sussiste per il solo fatto di averla generata e prescinde da ogni statuizione del giudice al riguardo (Cassazione, 7285/87, 2199/90, 6217/94 e 15063/90).

Consegue da ciò che qualora il genitore affidatario del figlio minore consenta che il medesimo vada a vivere con l’ altro genitore, è tenuto a concorrere al suo mantenimento anche prima ed indipendentemente da un provvedimento di modifica delle condizioni della separazione o del divorzio. In caso d’inosservanza di tale obbligo, l’ altro genitore potrà quindi agire per l’ attribuzione di un assegno a partire dalla data della domanda e per il rimborso di quanto dovuto dall’ onerato per il periodo precedente (Cassazione, 10849/96 e 9386/99), tenendo al riguardo presente che a differenza del primo provvedimento, che mirando a tutelare il minore, può essere adottato anche d’ ufficio dal giudice, il secondo attiene alla definizione dei rapporti fra debitori solidali e presuppone perciò, la formulazione di una specifica richiesta da parte dell’ avente diritto (Cassazione 5586/00).

Nel caso di specie, la Corte bolognese ha dato atto che pur essendo formalmente affidato al padre, il figlio R. aveva però vissuto con la madre, cui l’ A. non aveva versato più nulla per il periodo compreso fra il febbraio ed il luglio 1993.

Nonostante ciò, la Corte di appello ha ugualmente ritenuto di non poter arretrare fino a febbraio la decorrenza della propria pronuncia perché oltre ad essere stata proposta per la prima volta in appello, l’ istanza formulata in tal senso dalla S. finiva col risolversi in una inammissibile richiesta di modifica delle condizioni della separazione con anticipazione degli effetti ad un momento precedente la presentazione della domanda.

Tale ultima considerazione non può essere indubbiamente condivisa, ma la prima basta da sola a giustificare la decisione adottata, nell’ impugnare la quale la S. non ha negato la tardività della propria richiesta, ma si è limitata a sostenere che i giudici avrebbero dovuto prenderla comunque in esame perché sostanzialmente avanzata nell’ interesse del figlio minore.

Anche il secondo motivo del ricorso va, pertanto, respinto diversamente dal terzo che va, invece, accolto.

Ed infatti, l’A. ha cominciato a versare un assegno di lire 700.000 per M. soltanto dal maggio 1997.

La Corte di appello ha riconosciuto che la S. avrebbe avuto invece diritto ad un contributo decorrente dalla data della nascita ed ha provveduto per questo a liquidarlo, determinandolo però in appena lire 3.300.000 per tutti e quattro gli anni compresi fra l’ ottobre del 1993 ed il maggio del 1997.

La ricorrente ha contestato la congruità e la sufficienza della motivazione adottata sul punto dalla Corte di appello che, in effetti, non ha minimamente chiarito le ragioni che l’ avevano indotta a quantificare il debito dell’A. in misura talmente irrisoria ed assolutamente incompatibile con l’ ammontare dell’ assegno fissato a partire dal maggio 1997.

Ciò posto, non resta che passare all’ esame del quarto motivo con il quale la S. si è rammaricata del fatto che pur trattandosi di un mezzo istruttorio indispensabile per fissare gli assegni in misura realmente adeguata alle reali possibilità dell’ obbligato, la Corte di appello si era rifiutata di ammettere Ctu sulle rendite degli ambulatori dell’ A. e sul valore degli immobili e della partecipazione da lui posseduta nella prestigiosa casa di cura “Villa Regina”.

Così come formulata, la doglianza non può essere accolta, perché per dimostrare l’ errore compiuto dai giudici a quo, la S. avrebbe dovuto indicare i motivi che avrebbero dovuto convincerli a disporre la consulenza e, cioè, gli elementi capaci di rendere per lo meno verosimile l’ esistenza dei (contestati) laboratori ed il notevole valore della partecipazione nella casa di cura e degli immobili, che dovendo figurare nella denuncia dei redditi, sono stati verosimilmente valutati dalla Corte di appello. In conseguenza dell’ accoglimento del terzo motivo, la sentenza impugnata dev’essere cassata con rinvio, anche per le spese del presente giudizio, ad altra sezione della Corte di appello di Bologna. [ Riconciliazione dopo separazione ]

Corte di cassazione

Sezione I civile

Sentenza 6 ottobre 2005, n. 19497 [ Riconciliazione dopo separazione ]

Con ricorso in data 19 settembre 1995 C.L., premesso di aver contratto matrimonio, con rito concordatario ed in regime di comunione di beni in data 10 febbraio 1972 con G.E., che dall’ unione coniugale era nata a Milano il 3 agosto 1974 la figlia S., che in data 24 giugno 1992 (con omologa del 30 giugno 1992) essi coniugi si erano consensualmente separati e che nel periodo dal 20 dicembre 1992 al 27 giugno 1993 era ripresa la convivenza col marito a seguito di avvenuta riconciliazione, chiedeva al Tribunale di Milano dichiararsi cessati gli effetti di detta separazione consensuale e pronunciarsi separazione giudiziale ai sensi dell’ art. 151, primo comma, c.c. con decorrenza dal 25 giugno 1993, oltre alla corresponsione di un assegno mensile di lire 1.500.000. [ Riconciliazione dopo separazione ]

Costituitosi in giudizio il G., che contestava la circostanza della riconciliazione e della ripresa della convivenza e che, in via riconvenzionale, chiedeva la restituzione di lire 12.000.000, di cui a suo dire la C. si era illecitamente impossessata insieme ad altri oggetti, l’ adito Tribunale, con sentenza 7892/2001 in data 11 aprile 2001, ritenendo non provata l’ avvenuta riconciliazione, rigettava la domanda attrice e, in accoglimento della riconvenzionale, condannava la C. a restituire al G. alcuni oggetti oltre al pagamento delle spese processuali del relativo grado di giudizio (liquidato in lire 21.505.240).

La C. proponeva appello, deducendo, in particolare, l’ erronea valutazione delle risultanze processuali da parte dei giudici di primo grado in ordine alla riconciliazione nonché in ordine alla riconsegna degli oggetti descritti in sentenza, e la Corte d’Appello di Milano, costituitosi l’ appellato G., con la sentenza in esame n. 1202/2002, confermava la pronuncia dei Tribunale, salva la riduzione delle spese processuali poste a suo carico (riliquidate in euro 6.011,04).

Propone ricorso per cassazione la C., fondato su due motivi, illustrati con memoria; resiste con controricorso il G.

MOTIVI DELLA DECISIONE [ Riconciliazione dopo separazione ]

Con il primo motivo di ricorso si deduce difetto di motivazione, “su un punto decisivo della controversia” costituito dalla ripresa della convivenza, conseguente all’ omesso esame delle risultanze delle deposizioni testimoniali, avendo la Corte territoriale preso in considerazione solo la testimonianza della figlia S. Si precisa che “dalle testimonianze rese in udienza emerge chiaramente, infatti, l’ effettiva avvenuta ricomposizione della comunione coniugale”. [ Riconciliazione dopo separazione ]

Con il secondo motivo si deduce violazione dell’art. 157 c.c. essendosi, nella fattispecie in esame, verificata la riconciliazione dei coniugi e non, come erroneamente affermato dalla Corte di Milano, un semplice “tentativo di conciliazione”.

Il ricorso non merita accoglimento in relazione ad entrambe le suesposte censure, da esaminarsi congiuntamente in quanto entrambe aventi ad oggetto il medesimo thema decidendum prospettato dal ricorrente in ordine alla non ritenuta riconciliazione dei coniugi in questione. [ Riconciliazione dopo separazione ]

La Corte territoriale, infatti, con ampie e logiche argomentazioni svolte sulla base di una esaustiva e completa valutazione delle risultanze processuali (tra cui numerose prove testimoniali), non ulteriormente esaminabili nella presente sede di legittimità, ha dato conto del proprio assunto in ordine al decisivo punto della non avvenuta ripresa della convivenza coniugale e della conseguente esclusione della riconciliazione. [ Riconciliazione dopo separazione

Infatti, premesso che, come già sostenuto da questa Corte con indirizzo pienamente condivisibile (tra le altre, Cassazione 12427/2004, rv. 574235 [ Riconciliazione dopo separazione ]), non è sufficiente, per provare la riconciliazione tra i coniugi separati, per gli effetti che ne derivano, che i medesimi abbiano ripristinato la convivenza a scopo sperimentale, essendo invece necessaria la completa ripresa dei rapporti caratteristici della vita coniugale, la Corte di Milano ha ritenuto sussistente nella vicenda in esame un mero “tentativo di conciliazione”, con ciò non facendo affatto riferimento ad un criterio metagiuridico (come erroneamente sostenuto dalla ricorrente), bensì ad una consentita valutazione “in fatto”, tale da escludere, nel caso di specie, l’ effettiva voluntas in ordine alla ripresa del rapporto coniugale soprattutto da parte della stessa C.; ciò emerge con chiarezza, tra l’ altro, dal punto della sentenza in cui si afferma che “l’ argomento decisivo per escludere anche nella C. la seria volontà di riconciliarsi col marito è però costituito dal fatto che la predetta aveva in atto una relazione extraconiugale, probabilmente mai interrotta durante i mesi di convivenza col marito”, per cui “se anche un desiderio di riconciliarsi col marito nella C. c’era stato esso non poteva che essere rimasto nei termini di un tentativo ben presto dimostratosi irrealizzabile”.Deve, infine, osservarsi che rientrante nel discrezionale potere valutativo del giudice del merito è il ritenere irrilevante o meno una o più deposizioni testimoniali, con la conseguenza che ben poteva la Corte territoriale sostenere l’ attendibilità, a fini probatori, della sola testimonianza della figlia delle parti in causa, e che l’ accertamento in ordine ad un’ eventuale riconciliazione, in tema di separazione personale dei coniugi, è rimesso all’ apprezzamento del giudice di merito e non è quindi censurabile in Cassazione in mancanza, come nel caso in esame, di vizi logici o giuridici. [ Riconciliazione dopo separazione ]

Le spese seguono la soccombenza e si liquidano come in dispositivo.


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