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Assegno di mantenimento coniuge non dovuto se l’ex ha nuova convivenza

Assegno di mantenimento coniuge

Assegno di mantenimento coniuge: Sentenze della Corte di Cassazione

Assegno di mantenimento coniuge non più dovuto se l’ex convive stabilmente con altra persona, formando una “famiglia di fatto”.

(Cass. 17195/2011, 22337/2011, 17684/2004)

SEZIONE I CIVILE

Sentenza 11 agosto 2011, n. 17195 [ Assegno di mantenimento coniuge ]

…Motivi della decisione

Con il primo motivo, il ricorrente lamenta violazione della L. n. 898 del 1970, art. 5, nonchè vizio di motivazione in ordine alla stabile convivenza della L. con altro uomo, ciò che dovrebbe escludere la corresponsione di assegno divorzile a carico dell’ ex coniuge.

Per una migliore intelligenza della problematica sollevata, va considerato che una convivenza stabile e duratura, con o senza figli, tra un uomo e una donna, che si comportano come se fossero marito e moglie, è stata volta a volta definita con espressioni diverse, quali concubinato, convivenza more uxorio, famiglia di fatto, la prima connotata negativamente, la seconda di valore neutro e la terza positivamente connotata. Si può addirittura ipotizzare una sorta di passaggio, almeno in parte anche in successione temporale, dall’uso di un’ espressione all’altra, che si accompagna ad un corrispondente mutamento nel costume sociale.

La prima fase è anche l’ unica che trova (o meglio trovava) un preciso riscontro normativo: il concubinato (una sorta di adulterio continuato) costituiva reato, nonchè causa di separazione per colpa.

La convivenza tra uomo e donna, come se fossero coniugi, rilevava soltanto come forma di sanzione – e condizione necessaria era ovviamente che uno dei conviventi fosse sposato – al fine di maggior difesa della famiglia legittima. La fase del concubinato volgeva al termine, dopo una nota sentenza della Corte Costituzionale (Corte Cost. n 167/1969) che cancellò tale ipotesi di reato.

In una diversa fase , nella quale l’ espressione convivenza more uxorio andava gradualmente sostituendo quella di concubinato, prevaleva una sorta di “agnosticismo” dell’ ordinamento nei confronti del fenomeno, derivante dalla mancata regolamentazione normativa di esso, e, con riferimento ai principii costituzionali, dall’ art. 29 Cost., che soltanto “riconosce i diritti della famiglia come società naturale fondata sul matrimonio”, disposizione ritenuta confermativa del disinteresse dell’ ordinamento verso altri tipi di organizzazione familiare.

In una fase successiva, che si può collocare temporalmente alle soglie e successivamente alla riforma generale del diritto di famiglia, l’ espressione “famiglia di fatto” comincia ad essere sempre più frequentemente accolta. Essa non indica soltanto il convivere come coniugi, ma individua una vera e propria “famiglia”, portatrice di valori di stretta solidarietà, di arricchimento e sviluppo della personalità di ogni componente, e di educazione e istruzione della prole. In tal senso si rinviene, seppur indirettamente, nella stessa Carta Costituzionale, una possibile garanzia per la famiglia di fatto, quale formazione sociale in cui si svolge la personalità dell’ individuo, ai sensi dell’ art. 2 Cost.

La riforma del diritto di famiglia del 1975, pur non contenendo alcun riferimento esplicito alla famiglia di fatto, viene ad accelerare tale evoluzione di idee: nella rinnovata normativa emerge un diverso modello familiare, aperto e comunitario, una sicura valutazione dell’ elemento affettivo, rispetto ai vincoli formali e coercitivi, l’ eliminazione di gran parte delle discriminazioni della filiazione naturale rispetto a quella legittima. E talora si ritiene attribuita rilevanza giuridica alla famiglia di fatto, in presenza di figli, con riferimento all’ art. 317 bis c.c., ove si precisa che i genitori naturali, se conviventi, esercitano congiuntamente la potestà.

Nella specie, la Corte d’ Appello accerta l’ instaurazione di un rapporto stabile di convivenza della L. con altro uomo: questi ha dato un apporto notevole al menage familiare, mettendo a disposizione per la convivenza un’ abitazione di proprietà di una s.r.l. di cui egli detiene il 99% delle quote, la coppia ha avuto due figli, in un breve lasso di tempo (2001 – 2003); durante la convivenza matrimoniale non erano nati figli.

Presume la Corte di merito che gli impegni connessi alla maternità ed all’ accudimento dei bambini, ancora in tenera età, abbiano impedito “il collocamento nel mondo del lavoro della L.”.

Ritiene peraltro che, benchè la volontarietà di alcune scelte di vita della L. (l’ instaurazione della convivenza, la nascita dei figli, etc.) non possa farsi ricadere sul coniuge, tuttavia la sperequazione dei mezzi di questa di fronte alle disponibilità economiche del F. – che già caratterizzavano il tenore di vita durante la convivenza matrimoniale – giustifichi la corresponsione di un assegno divorzile a carico dell’ ex coniuge.

L’ argomentazione del Giudice a quo è palesemente erronea.

E’ vero che giurisprudenza consolidata di questa Corte (tra le altre, da ultimo, Cass. n 23968/2010 [ Assegno di mantenimento coniuge ]) afferma che la mera convivenza del coniuge con altra persona non incide di per sé direttamente sull’ assegno di mantenimento. E tuttavia, ove tale convivenza assuma i connotati di stabilità e continuità, e i conviventi elaborino un progetto ed un modello di vita in comune analogo a quello che di regola caratterizza la famiglia fondata sul matrimonio: come già si diceva, arricchimento e potenziamento reciproco della personalità dei conviventi, e trasmissione di valori educativi ai figli (non si deve dimenticare che obblighi e diritti dei genitori nei confronti dei figli sono assolutamente identici, ai sensi dell’ art. 30 Cost. e art. 261 c.c., in ambito matrimoniale e fuori dal matrimonio), la mera convivenza si trasforma in una vera e propria famiglia di fatto (al riguardo, Cass., n. 4761/1993).

A quel punto il parametro dell’ adeguatezza dei mezzi rispetto al tenore di vita goduto durante la convivenza matrimoniale da uno dei partner non può che venir meno di fronte all’ esistenza di una famiglia, ancorchè di fatto. Si rescinde così ogni connessione con il tenore ed il modello di vita caratterizzanti la pregressa fase di convivenza matrimoniale e, con ciò, ogni presupposto per la riconoscibilità di un assegno divorzile, fondato sulla conservazione di esso (v. s.u. 2 punto Cass. 2003 n. 11975 [ Assegno di mantenimento coniuge ]).

E’ evidente peraltro che non vi è né identità né analogia tra il nuovo matrimonio del coniuge divorziato, che fa automaticamente cessare il suo diritto all’ assegno, e la fattispecie in esame, che necessita di un accertamento e di una pronuncia giurisdizionale. Come talora questa Corte ha precisato (al riguardo, tra le altre, Cass. n. 3503 / 1998 [ Assegno di mantenimento coniuge ]), si tratta, in sostanza, di quiescenza del diritto all’ assegno, che potrebbe riproporsi, in caso di rottura della convivenza tra i familiari di fatto, com’ è noto effettuabile ad nutum, ed in assenza di una normativa specifica, estranea al nostro ordinamento, che non prevede garanzia alcuna per l’ ex familiare di fatto (salvo eventuali accordi economici stipulati tra i conviventi stessi).

Va pertanto accolto il primo motivo di ricorso, assorbente rispetto agli altri, attinenti alla quantificazione dell’ assegno e al regime delle spese processuali cassata la sentenza impugnata, con rinvio alla Corte d’Appello di Roma, in diversa composizione, che esaminerà il merito della causa, attenendosi ai principii suindicati e pure si pronuncerà sulle spese del presente giudizio di legittimità.

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Corte di Cassazione

Sezione I Civile

Sentenza del 26.10.2011, n. 22337 [ Assegno di mantenimento coniuge ]

Con ricorso del 20.9.2001 M.G.D.N. adiva il Tribunale di Napoli affinché pronunciasse la separazione personale dal marito V.D.A. con addebito di responsabilità a suo carico, domanda analogamente proponeva quest’ ultimo con ricorso che veniva riunito al precedente.
All’ esito dell’ istruttoria il Tribunale pronunciava la separazione personale dei coniugi determinando in € 270 l’ assegno mensilmente dovuto dal De A. alla moglie e, quindi, con successiva decisione emessa in via definitiva, addebitava al marito la causa della separazione.
La sentenza, impugnata da entrambe le parti (dalla D.N. in via principale e dal De.A. in via incidentale ), veniva confermata dalla Corte di appello che in particolare, sui diversi punti sottoposti al suo esame, riteneva provata la riconducibilità della crisi irreversibile del matrimonio al comportamento del De A. e, con riferimento alle statuizioni di contenuto patrimoniale, riteneva che le stesse dovessero essere confermate essenzialmente per le seguenti ragioni: a) l’ avvenuto accollo da parte del De A. dell’ onere di conduzione della casa coniugale; b) la contribuzione esclusiva per il mantenimento dei figli; c) la convivenza della D.N. con L. R., collega di lavoro (professore di scuola ), ma beneficiario di un reddito superiore per effetto di parallela attività professionale.
Avverso decisione la D. N. proponeva ricorso per cassazione affidato a tre motivi, cui resisteva il De A. con controricorso poi ulteriormente illustrato da memoria, con i quali rispettivamente denunciava:
1) violazione degli artt. 2697 c.c., 115, 116, 184, 184 bis c.p.c. e vizio di motivazione, in ragione della tardiva produzione dei documenti (deposizioni di testi escussi nel procedimento per separazione personale fra i coniugi R. – De C. e sentenza del Tribunale di Napoli n. 04/9129 emessa all’esito del relativo giudizio), avvenuta all’udienza del 24.6.2004, mentre il termine concesso a tal fine era stato fissato per la data del 15.1.2003;
2) violazione degli artt. 156 c.c., 5 l. 70/898, 2697 c.c. nonché vizio di motivazione, per la rilevanza attribuita alla convivenza della D.N. con il. R. nel giudizio relativo alla comparazione fra le posizioni economiche degli ex coniugi.
Tale rilevanza sarebbe stata tuttavia riconosciuta a torto, e ciò anche in considerazione dell’assenza di prova circa il reddito goduto dal R., che sarebbe stato per di più gravato dall’onere di corresponsione degli assegni di mantenimento in favore di moglie e figlie;
3 ) nullità del procedimento per violazione degli artt. 112, 115 e 345 c.p.c., atteso che il De A., nel contestare la fondatezza della pretesa all’ assegno di mantenimento formulata dalla ricorrente, non aveva in alcun modo dedotto, quale profilo rilevante al riguardo, la stabile convivenza di essa ricorrente con il R.

Il ricorso è infondato.

Quanto al primo motivo, occorre innanzitutto rilevare l’ inadeguatezza del prescritto quesito di diritto (la sentenza risale al settembre 2007).
Ed infatti la stabile convivenza della D.N. con il R. era stata ricavata dalla Corte di appello dalla testimonianza del teste De C., da quella del teste De F., dal riepilogo della situazione contabile del condominio in via (…) (nel quale la spesa relativa ad un appartamento e attribuita dall’ amministratore dello stabile a ” De A. V./ D. N. G. co.R.”) dalla sentenza di separazione del R.; con il quesito di diritto, viceversa, la D. N. ha richiesto se poteva trovare ingresso nel giudizio tra gli ex coniugi D.N. – D.A. la sentenza emessa nel processo instaurato tra D.C.B. e L.R., nonché la deposizione del teste D. F.
Restano esclusi dal quesito di diritto il riferimento alla testimonianza del teste D.C. ed al prospetto contabile sopra richiamato (elementi sui quali pure la Corte d’ appello, come detto, ha formato il proprio convincimento in ordine alla convivenza della D.N. con R.) e ciò è dunque sufficiente per affermarne l’ incompletezza.
Nel merito comunque, e per di più, la censura sarebbe priva di pregio alla luce della consolidata giurisprudenza di questa Corte (c. 10/21561, c. 10/14766, c. 10/11346, c. 07/12792, c. 07/5323 [ Assegno di mantenimento coniuge ]), trattandosi di documentazione formatasi dopo la scadenza del termine fissato a tal fine dal giudice istruttore.

In ordine al secondo motivo, va poi rilevato che la statuizione censurata (attinente al mancato accertamento del divario economico esistente fra D. A. e D.N. ) è riconducibile a valutazione di merito. In particolare la Corte territoriale ha formulato tale valutazione in considerazione del fatto che le condizioni economiche ed affettive (queste ultime con evidente riferimento alla sua relazione con il R) della D.N., unitamente ai risparmi di spesa di cui ella aveva beneficiato per effetto degli oneri economici assunti dal D.A. per il mantenimento dei figli, non avrebbero consentito il riconoscimento dall’ assegno di mantenimento in suo favore, ed ha espresso dunque il proprio convincimento sulla base di argomentazioni sufficientemente motivate ed immuni da vizi logici, insindacabili pertanto in questa sede di legittimità.
Né a diverse conclusioni può indurre (secondo quanto sostenuto dalla ricorrente) la circostanza che la Corte di Appello non avrebbe avuto conoscenza del reddito del R., sicché non sarebbe stata in grado di affermarne la consistenza.
Al riguardo va infatti precisato che la Corte territoriale non ha espresso giudizi circa l’ entità del detto reddito ma, più semplicemente, si è limitata a rilevare che, stante l’ accertata convivenza della D.N. con il R. e la duplicità di redditi da quest’ ultimo goduto (uno fisso, quale insegnante, ed uno da attività professionale), nonché tenuto conto dei risparmi di cui la D.N. avrebbe beneficiato per l’ acquisita possibilità di utilizzare lo stipendio a proprio esclusivo vantaggio, si sarebbe determinata una sostanziale coincidenza della situazione economica della ricorrente, quale goduta durante e dopo il matrimonio.
Anche sotto tale profilo, dunque, il giudizio di merito espresso sul punto dalla Corte territoriale appare correttamente motivato e non suscettibile di sindacato nell’ambito di un giudizio di legittimità.

Resta infine il terzo motivo, in relazione al quale va chiarito che la questione relativa alla convivenza con altra persona di un coniuge separato, che sia istante per la condanna dell’ ex coniuge alla corresponsione di un assegno di mantenimento in proprio favore, non rientra nel campo delle eccezioni in senso proprio, ma costituisce uno degli argomenti di cui il giudice, sulla base dei dati correttamente acquisiti nel corso dell’istruttoria, deve tener conto per decidere sul punto sottoposto al suo esame, consistente nell’esistenza o meno del diritto al riconoscimento del detto assegno.

Conclusivamente il ricorso deve essere rigettato, con condanna della ricorrente, soccombente, al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, liquidate in dispositivo.

Riduzione assegno mantenimento se provata nuova  convivenza: non bastano foto, cognomi sul campanello e atto notorio, ma testimonianze.

SUPREMA CORTE DI CASSAZIONE

SEZIONE I CIVILE

SENTENZA 2 settembre 2004, n. 17684 [ Assegno di mantenimento coniuge ]

Con sentenza in data 21-12-2000, il Tribunale di Firenze dichiarava la cessazione degli effetti civili del matrimonio contratto il 10-8- 78 da X e Y ponendo a carico del Y un assegno di mantenimento di L. 1.200.000.

A seguito dell’ appello proposto dal Y la Corte territoriale di Firenze, con la sentenza in esame, riduceva l’ importo dell’ assegno in questione in L. 400.000 mensili, sulla base dell’ accertata convivenza more uxorio della X con un nuovo compagno, confermando nel resto l’ impugnata decisione.

Ricorre per cassazione la X con due motivi; resiste con controricorso il Y.

Motivi della decisione [ Assegno di mantenimento coniuge ]

Con il primo motivo di ricorso si deduce la violazione dell’ art. 5 della legge n. 898/70, e successive modifiche, nonchè degli artt 2697 c.c. e 115 c.p.c., e difetto di motivazione, riguardo al decisivo punto della valutazione della situazione patrimoniale dell’ odierna ricorrente e dei relativi riscontri probatori in ordine alla sua convivenza more uxorio, nonchè all’ ulteriore punto delle sue precarie condizioni di salute.

Con il secondo motivo si deduce la violazione degli artt. 111 Cost, 115 c.p.c. e 2697 c.c. in relazione all’ art. 360, nn. 4 e 5, c.p.c. per avere erroneamente ritenuto la Corte territoriale l’ equivalenza di un atto sostitutivo di notorietà, sul piano probatorio, alla chiesta prova testimoniale, con conseguente omessa assunzione di quest’ ultima; si aggiunge che non può attribuirsi valore di prova ad un atto notorio ” precostituito” al processo, essendo in tal caso palese la violazione del principio del contraddittorio.

Il ricorso è fondato e merita accoglimento. [ Assegno di mantenimento coniuge ]

Il mutamento, infatti, della situazione patrimoniale della X tale da comportare una riduzione dell’ assegno divorzile da L. 1.200.000 a L. 400.000, è stato accertato dalla Corte territoriale di Firenze sulla base di tre risultanze processuali, vale a dire due foto attestanti il posteggio dell’autovettura della X vicino al cancello di casa del nuovo compagno, nonchè la targhetta sull’ ingresso della casa di quest’ ultimo con i nomi di entrambi e una dichiarazione sostitutiva di atto di notorietà avente ad oggetto la collaborazione dell’ odierna ricorrente col convivente nell’ attività di commercio ambulante di generi alimentari; ciò ha indotto detta Corte a ritenere superflua l’ assunzione della chiesta prova testimoniale.

E’ evidente, in relazione all’ art. 115 c.p.c., che la Corte di merito non solo non ha dato conto, con adeguata motivazione, della rilevanza probatoria dei suddetti elementi ai fini della propria decisione ma ha altresì erroneamente attribuito efficacia probatoria al c.d. atto notorio, addirittura in modo equivalente alla prova testimoniale.

Nell’ impugnata decisione, infatti, non si spiegano le ragioni (con conseguente impossibile individuazione della ratio decidendi), per cui dette risultanze sono state ritenute, da sole, prova sufficiente per dimostrare la stabile convivenza more uxorio della X e il connesso miglioramento delle condizioni economiche della stessa.

Inoltre, la Corte territoriale non ha considerato che, come affermato da questa Corte di legittimità (tra la altre, Cass. n. 7328/2000 m. 537161), la regola generale del necessario contraddittorio fra le parti, in condizioni di parità, comporta che anche le prove devono essere raccolte nell’ osservanza di tale principio, per cui non può attribuirsi valore di prova all’ atto notorio, precostituito al di fuori del processo; nella vicenda in esame l’ odierna ricorrente non ha potuto contraddire il contenuto dell’ atto sostitutivo di notorietà in questione, cui è stato riconosciuto, tra l’altro, valenza di elemento decisivo.

P.Q.M. La Corte accoglie il ricorso per quanto di ragione; cassa e rinvia, anche per le spese, ad altra sezione della Corte d’Appello di Firenze.

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